E’ una cifra ben precisa quella di Zàgarà, a cominciare dal naming dall’esplicito richiamo al fiore di agrume per antonomasia ed insieme ancestrale simbolo di purezza e rinascita insieme.Le origini, le tradizioni, ma anche le suggestioni di chi sa interpretare con gusto e creatività tutto ciò che ha assorbito dal proprio percorso. Massimiliano Romano chef e patron di Zagarà non è certo nuovo all’esperienza culinaria, dal 2010 protagonista di Sicilia Nostra, ristorante all’interno del quale da luglio 2024 ha ricavato l’elegante sala di Zàgarà,attuale “palestra di fine dining” per una cucina mediterranea rinnovata e di classe, con un importante progetto in itinere, sempre nella sua amata Lentini.
Massimiliano ha una dedizione allo studio sulla lavorazione del pesce, sublimata dalle infinite risorse del mare della sua Sicilia e sull’arte della pasta trafilata al bronzo, i cui echi suonano puntuali nel raviolo intrecciato a mano che ci sarà proposto.
Le sue prime esperienze, già ai tempi della scuola alberghiera, nelle cucine del San Domenico di Taormina,e poi del Palace Hotel di Siracusa,gli conferiscono basi solide che lo preparano all’esperienza londinese dove entra anche nella brigata di Gordon Ramsay al Savoy Grill di Londra,assimilando l’arte di elaborare la materia prima esaltandola.
Il personale di sala è garbato e attento, pronto a prendersi cura dei clienti di Zàgarà,in testa Federica Russo maitre che scandisce con discrezione ritmi e tempi del servizio e compagna di vita con la quale chef Massimiliano Romano condivide il percorso.Il racconto elegante e puntuale è condiviso in sala con il giovane Thomas Santocono.
Charme e visione professionale si esprimono da Zàgarà, anche nella scelta di rinunciare a un numero eccessivo di tavoli per un’atmosfera intima ed immersiva,perfetta per godersi il carattere unico di ciascun piatto.
Oltre al menù a la carte, con i menù degustazione “Vita Lenta” ed “Acqua Azzurra”, lo chef Massimiliano Romano invita a farsi sorprendere e ad abbandonarsi ai sapori declinati attraverso un’attenta selezione di ingredienti stagionali.E la voglia di sperimentare dello chef si rivela anche giocando con i nomi delle portate a regalare al percorso un’infinità di dettagli e sfumature, che si ritrovano all’assaggio.
Si parte con il carosello iniziale, un’esplosione di colori nel “Benvenuto dello chef” che si ritrova in sapori e consistenze dove la nota territoriale è protagonista. Dall’arancinetta all’arancia, servita su una salsa all’arancia e gambero crudo di Mazara del Vallo, all’arancinetto al nero di seppia, mollica di pane al nero di seppia e crema cacio e pepe, dove forme e sostanza sublimano il “continente” Sicilia in un abbraccio visivo e sensoriale tra Palermo e Catania.
Le chips di riso al nero di seppia su salsa al wasabi e quella all’acqua di rose su una salsa al finocchietto, puliranno il palato. L’assaggio è coccolato dalle suadenti bollicine di Aaron Montis Cime Tempestose 2019, un metodo classico pas dosè da nerello mascalese, un bel pairing proposto dal sommelier Francesco Carbone.I lievitati proposti valorizzano i grani antichi e la farina di carrubba,ben accompagnati dalle sfumature aromatiche dell’olio da cultivar tonda iblea in purezza di Tondo Oil.
Gli antipasti identificano chiaramente il percorso, tracciato all’insegna dell’immediatezza e della levità, con spunti sorprendenti. A cominciare dal “Gambero che voleva fare il fico” dove il battuto di gambero rosso di Mazara, apparentemente protagonista assoluto, prestante e presente,deve fare i conti con l’amabile contrasto dell’estratto al kiwi guarnito con sedano e rapa croccante, che regalano un assaggio armonico.La splendida triglia cotta sous vide e leggermente scottata viene invece adagiata su flan di finocchietto,spugna all’arancia, finocchietto, arancia essiccata e fiori eduli. Il mix delizioso per la vista ed il palato creato dallo chef Romano, viene proposto da Francesco Carbone in match con un Langhe doc di Ettore Germano. Uno chardonnay in purezza che fa solo acciaio, fresco ed elegante che non sovrasta, anzi accompagna in armonia i due piatti.
Si prosegue con “Mi raccontava mia mamma”, Sarda a beccafico, foglia di brisè aromatizzata alla cicoria e dipinta con nero di seppia, servita con scarola brasata, cuor di burrata, su pesto di finocchietto e guarnita con finocchietto fresco. Un vero omaggio alla tradizione culinaria siciliana, dove la sarda, versione umile del beccafico, cacciagione pregiata che poteva permettersi solo la nobiltà dell’isola, trova nuovi preziosi compagni di viaggio della penisola italica. Piatto che si anima al palato con l’elegante pairing di “Fleur de l’Europe” Nature della maison Fleury.Champagne biologico e biodinamico, dalle vigne di Courteron in Cote Des Bar.Felice matrimonio tra la struttura fruttata del pinot nero,ed un saldo di chardonnay che con la sua freschezza, ammalia il sapido palato della sarda a beccafico.
“La quiete dopo la tempesta” è il nome scelto dallo chef per il nostro primo piatto, che si rivela momento saliente del percorso. La metafora arriva subito, dalle decorazioni scompigliate e la preparazione lunghissima per il protagonista del piatto, il raviolo intrecciato a mano di due tipi di pasta semola e semola aromatizzata alla cicoria, che racchiude un cuore di branzino adagiato su gorgonzola ed acqua di cozze. Sopra tuile all’aglio nero ed aria di limone, a rappresentare la quiete. In senso pratico è l’assaggio a determinare la quiete.Ma ancora per poco! Il match proposto dal sommelier Francesco con un suo vino del cuore scompiglia le carte e rende l’assaggio memorabile. Fermentation Lenta-Ximènez Spìnola 2021, da vigne esclusivamente di pedro ximenez, dalle quali provengono i più grandi sherry di Spagna, proposta la cui particolarità è la vinificazione in secco, con lenta fermentazione,che riparte aggiungendo mosto nuovo a quello fermentato. In barba a chi ritiene sopravvalutato l’abbinamento cibo vino, valutiamo stupefacente il connubio proposto, che forse può rendere problematico -questo sì!- i match successivi.Un’esperienza che vale il viaggio!
Si prosegue con il fuori programma, un Foie gras con composta di mandarino, mandarino essiccato ed apple smith, incontro felice tra due tradizioni, Francia e Sicilia che nei secoli si sono spesso incrociate, per giungere al “Polpo in Festa”piatto la cui tendenza dolce è proposta in pairing riuscito con la morbidezza di un rosato da syrah, “Turi” di Salvatore Marino.
Un allegoria del polpo e del fior di zucchina i cui toni celebrano già alla vista il carismatico connubio dell’universo vegetale e marino.Dolcezza e acidità si fondono in equilibrio nell’assaggio del tentacolo cotto sous vide ed aromatizzato al rosmarino, adagiato su tre cuori di patate rispettivamente, novella siracusana, viola ed arancione dolce,ed accompagnato da asparagi di mare,fiori di zucca e vellutata di piselli.Il Sorbetto al limone con estratto di albedo d’arancia (concentrato di benessere tra polpa e buccia dell’agrume) dal retrogusto fresco ed amaricante, giunge a pulire gradevolmente il palato.
Stupisce il dessert simbolo e riteniamo ideale definizione del percorso di fine dining,Semifreddo di ricotta di pecora, con pere, cardamomo e cialda di meringa, praline di cioccolato selezionate dallo chef, il tutto abbinato,non per concordanza,al Marsala Superiore Oro Riserva 2018 di Marco De Bartoli.Dettaglio inusuale i capperi di salina canditi alla malvasia,ad impreziosire la pera aromatizzata al cardamomo, e poi mentuccia fresca a richiamare la freschezza del protagonista, un semifreddo di ricotta che racchiude un cuore di ricotta calda, nascosto da una meringa delicatamente flambata.
Sapori declinati da chef Massimiliano Romano in armonia, nel rispetto della stagionalità, capaci di incontrare e soddisfare i gusti di ogni commensale, con l’accurata selezione di vini di Francesco Carbone a completare l’esperienza con etichette locali e internazionali di pregio, in perenne evoluzione, frutto di continua ricerca ed assaggi.
Un percorso tra tradizione ed estro misurati, con rimandi alla realtà e alle origini siciliane dello chef ed un tributo alle esperienze londinesi che gli hanno trasmesso basi importanti sulle quali formare la propria idea di fine dining -come ci conferma il dialogo con chef Romano– dal quale percepiamo che per lui non esistono filoni culinari o mode da seguire per creare un piatto. La sua cucina nasce da un’approfondita conoscenza delle materie prime di terra e di mare e da un sottile lavoro di affinamento ed ispirazione, che lo porta a rivedere ogni passaggio di una ricetta.
Fragranze, texture e sapori della cucina di Zàgarà,si fondono così in un gioco di proporzioni sensoriali,dove la tradizione culinaria siciliana più autentica abbraccia nuove tendenze,dai sapori riconoscibili e dai guizzi disarmanti, che esprimono la visione di Massimiliano Romano, dove vista, gusto e olfatto si fondono creando una sinestesia unica.