PROMO BAR

Viaggio tra custodi di eccellenze

Un giro d'Italia attraverso i sapori e i “presidi con la chiocciola", che un’appassionata Anastasia De Luca -presidente di Slow Food Catania- ha condotto nel laboratorio del gusto Madre Terra

Dallo “Stracchino all’antica”che stagiona e può essere grattugiato, prodotto nella Valli Orobiche (Lombardia)alla “Tarese del Valdarno”salume prodotto in Toscana da maiali locali di almeno 200 kg. ed allevamenti sostenibili, passando per tanti Presidi territoriali. Un giro d’Italia attraverso i sapori e i “presidi con la chiocciola”, che un’appassionata Anastasia De Luca -presidente di Slow Food Catania– ha condotto ospitando anche da remoto i produttori di lombardia, toscana, emilia-romagna, marche, lazio, calabria e sicilia.  

Un laboratorio del gusto dal titolo “Madre Terra“subito sold out, dove Anastasia ha ricevuto il ringraziamento del sindaco di Milo Alfio Cosentino, per la passione e la cura che in questi anni ha dedicato ai progetti per ViniMilo.

Due cicli di assaggi con wine pairing, curati dal sommelier Salvo Gulisano.Presidi Slow Food, raccontati dai produttori e scoperti dalla nutrita platea, come lo Stracchino all’Antica di Prati Parini (Valli Orobiche, Bergamo); il Fagiolo Zolfino e l’olio EVO di Botti (Arezzo),la Tarese del Valdarno della macelleria Sani (Arezzo); il Ciambellò del forno Sant’Antonio (Gallicano, Roma); il Giglietto di Palestrina e Castel San Pietro Romano del forno Fiasco (Castel San Pietro, Roma) dal piccolo borgo dove il cinema di Luigi Comencini ha fatto sognare gli italiani con “Pane,amore e fantasia.

La Sicilia non poteva mancare, rappresentata dal lardo di suino nero dei Nebrodi (Messina); dal pistacchio di Bronte de I Lochi (Bronte); il salame di suino nero, e poi la torta di carote del Forno Biancuccia (Catania), e con i calici del metodo classico da uvaggio tipico del cerasuolo di vittoria, nero d’avola e frappato, del Klopè di Tenuta Valle delle Ferle (Caltagirone).

I calici hanno visto brillare il nettare di etichette quali Manzoni Bergamasca Igt di Sereno Magri (Lombardia, Bergamo); Capolemole bianco di Carpineti (Lazio, Velletri); Malpelo di Manciaciumi (Sicilia, Adrano); Centesimino di La Sabbiona (Emilia Romagna/Faenza); Valcalepio di Sereno Magri (Lombardia, Bergamo); il Moscato di Saracena della Cantina Viola (Calabria, Cosenza); e il Cherry di ciliegia moretta romagnola della Distilleria Roteglia (Emilia Romagna, Vignola).

Un laboratorio ricco di prodotti ma soprattutto di persone”-chiosa Anastasia De Luca- “persone che prima ancora di un’idea imprenditoriale volta al profitto, desiderano lasciare se possibile una traccia di sé, della propria storia e della loro memoria, come esempio virtuoso per le generazioni future. Proprio la mission che Slow Food si propone riguardo al cibo”. Anastasia ricorda come Slow Food, per combattere l’abbandono dei campi in Sicilia si sta battendo per il nuovo presidio delle farine di Maiorca.

Tanti gli interventi da varie parti d’Italia per raccontare formaggi e vini “custoditi” da coraggiosi produttori, eredi di tradizioni millenarie.

Luigi Viola ed il Moscato di Saracena

Seppur in videoconferenza, coinvolgente il racconto di Luigi Viola, il maestro che alle soglie della pensione decise di recuperare il Moscato al Governo di Saracena, vino calabrese le cui origini risalgono al cinquecento, le cui uve si pigiano rigorosamente a mano, secondo una tradizione custodita ormai da pochissime signore. Grazie al recupero del vitigno moscatello di Saracena, Luigi Viola e la sua famiglia hanno creato così un piccolo miracolo dell’enologia calabrese, il Moscato passito di Saracena.

Solo 3000 bottiglie l’anno da 4 vitigni autoctoni Moscatello di Saracena,Guarnaccia, Malvasia e Adduroca. Vino affascinante e sensuale, avvolgente, dotato di una sfumatura sapida e una notevole persistenza vinificato con pregevole maestria. Sentori di, rosa appassita, lavanda, e mandorle glassate, ed ancora miele d’acacia e curcuma.

Le uve provengono da viti site a 350 metri di altitudine e permettono di ottenere un vino di bella progressione, con sentori di albicocca e scorza d’arancia candita, rosa appassita, mandorla glassata e miele d’acacia.

Klopè di Valle delle Ferle

Lo raccontano Claudia Sciacca e Andrea Annino, coppia nella vita  e produttori capaci di contribuire alla rinascita del brand Cerasuolo di Vittoria. La storia di Valle delle Ferle parte dalla vecchia vigna “mista” scoperta per caso, la più antica vigna maritata rimasta a Caltagirone dove, lungo i filari, frappato e nero d’avola si alternano casualmente, dando vita ad un premiatissimo Cerasuolo di Vittoria identitario ed a KLOPE’ un metodo classico rosè, da uvaggio di frappato e nero d’avola, che rappresenta un unicum.

Vigna adagiata lungo quella che fu una delle più antiche Strade del Vino conosciute, pare la più antica d’Europa, itinerario commerciale che già nel 1500 a.c. da Kamarina e Gela giungeva fino a Siracusa e Catania.

Terra d’argilla che gli antichi conoscevano bene, risalendo dal mare fino a queste colline per acquistare le anfore vinarie prodotte in zona, ed i commercianti greci si erano spinti fin lì anche per la fama di cui godeva l’antico vino Murgentia, prodotto in queste zone e presente sulle tavole piu’ importanti dell’epoca, vino al quale Tenuta Valle delle Ferle ha dedicato una delle proprie etichette. 

“KLOPE’ in greco antico vuol dire furto, ed io ed Andrea, abbiamo pensato a questo nome non a caso. In una zona del vigneto non coperta da videosorveglianza, ad ogni vendemmia,puntualmente non trovavamo neppure un grappolo di frappato e nero d’avola !  Così io ed Andrea abbiamo deciso di anticipare la vendemmia e di utilizzare le uve, sorrette da bella acidità,  per produrre uno spumante…ma anche per sottrarre al furto la nostra uva !”

Metodo classico da uve leggermente pressate, che fermentano per metà tempo in acciaio, e giunte a 7/8 gradi babo completano la fermentazione in barrique. Etichetta di grande equilibrio, grazie all’allevamento collinare del vigneto risalente al 1974 ed al paziente batonnàge di 4 mesi del vino base.   

Un naso ricco per espressione floreale molto piacevole di glicine, fiori di ginestra, ma anche violetta e fiori rossi di campo, puntuale si fonde con la fragranza del lievito e con il frutto. Sentori complessi,  dalle fragoline di bosco, alla crosta di pane, note soffuse di speziatura dolce, cannella ed una punta di zenzero, ma ben fuse ed articolate.

Klopè, apprezzatissimo dagli ospiti di Slow Food, chiude su note agrumate intriganti di pompelmo rosa. Un vino inconfondibile e decisamente gastronomico.

La storia di Sereno Magri

Altro racconto appassionante quello di Sereno Magri produttore di Scanzo Rosciate, terra della più piccola Docg italiana, quella del Moscato di Scanzo. Sereno ci sorprende innanzi tutto col suo Manzoni Bergamasca Igt.

L’incrocio Manzoni bianco, frutto della sperimentazione del prof. Luigi Manzoni che incrociò nel 1930 Riesling e Pinot Bianco. “Un vitigno considerato autoctono veneto, ma che nella bergamasca – ci racconta Sereno- si sta diffondendo con ottime espressioni“. Bianco di alta collina con un’aromaticità al naso da riesling ed un palato da pinot bianco che non ti aspetti. Un “bianco invernale” si potrebbe definire anche per la gradazione rilevante di 14°.La prima vendemmia del Manzoni di Sereno Magri risale al 2020, frutto della visione dell’enologo Paolo Zadra, figlio del grande Carlo, che convince Sereno ad impiantarlo a Scanzo dove il Manzoni trova nuova vita.

L’azienda deriva da nonno Antonio che, forte dell’esperienza di fattore, crea una sua azienda agricola a Scanzo. Pianura e collina, ciliegie e frutta, cereali ed animali per tanti anni. Sereno succede nella conduzione dei vigneti al padre Ippolito, che imbottigliava solo Moscato di Scanzo fino agli anni 2000. Da qui selezione e reimpianto delle vigne, originariamente miste. Varietà come merlot e cabernet, protagonisti del taglio bordolese del Valcalepio Rosso che abbiamo apprezzato, oltre a sauvignon, chardonnay, incrocio manzoni e moscato di scanzo.

Sereno, che ci racconta di dover il proprio nome ad una zia veneziana della Serenissima appunto, realizza un metodo classico da chardonnay, oltre al noto Moscato di Scanzo, che utilizza anche per un sorprendente charmat rosato,da vendemmia leggermente tardiva.Vitigni che,grazie anche al Sass de la Luna calcare marnoso di colore grigio azzurro che affiora nel bacino lombardo, si esprimono in modo unico.