L’Isola dei miti mai del tutto svelati e dall’ esuberante biodiversità – la Sardegna – ci regala ogni volta esperienze di cui far tesoro. Ed il nostro viaggio “Sulle Tracce del Vermentino”, non poteva che far tappa in quest’angolo verdeggiante di Gallura, ai piedi del borgo medievale di Luogosanto, dove la Cantina Siddùra ha recuperato antichi vigneti, innovando la tradizione enologica con una produzione d’eccellenza.
Siamo nel nord est isolano, qui basta spostarsi di pochi km dal glamour della Costa Smeralda, per scoprire una Gallura autentica, puntellata di “stazzu gadduresi”, incastonati a mo’ di guardiani in questa valle a forma di sella di cavallo , Siddùra appunto in gallurese.
Ci accolgono amabilmente Stefania Costa e Fabio Avventuroso, che incontriamo in una torrida giornata estiva, mitigata dalla frescura balsamica del bosco di sugherete e da un benefico maestralino, visitando le vigne di Vermentino, Cannonau, Cabernet Sauvignon e non solo.
Il sapiente recupero di questa antica affascinante proprietà, riunendo appezzamenti quasi abbandonati, si deve a Nathan Gottesdiener, che conquistato nel 2008 dalla magia dei luoghi, ha fatto diventare Siddùra il cuore della Gallura vitivinicola, riunendo anime imprenditoriali diverse e per certi versi complementari.
Da queste parti il clima soleggiato e molto ventilato, permette di avere grappoli sempre asciutti, praticando una viticoltura con pochissimi interventi in vigna, nel massimo rispetto dell’ecosistema del territorio.
Quasi 40 ettari vitati a Siddùra, su terreni dove il millenario disfacimento granitico è protagonista. Lento e progressivo ha prodotto suoli leggeri, sciolti e drenanti, che grazie al microclima ed alle basse rese, danno vita ad una produzione di grande qualità. I suoli di Siddùra poveri di sostanza organica, hanno così costretto le piante ad una costante competizione, che rende il loro frutto speciale. Fabio ci mostra il sistema di sonde, tecnologicamente avanzato e di derivazione israeliana che, dialogando con un stazione meteo, è in grado di irrigare solo al bisogno, percependo il messaggio delle viti sentinella, che comunicano l’eventuale stress idrico.
La Cantina moderna è perfettamente integrata nel paesaggio, e concepita per una coibentazione naturale proveniente dal suolo, interrata com’è al centro della tenuta.
Ecosostenibile, l’armoniosa struttura non utilizza refrigerazione ma, sfruttando la geotermica e scavata nel granito, garantisce 18° interni mentre fuori ne abbiamo 37 ! La barricaia, unica zona a temperatura ed umidità controllate ospita alcune etichette da Cannonau, Carignano , Cabernet sauvignon ed il Vermentino Beru.
A SIddùra già miglior cantina italiana dell’anno a Vinitaly 2021, si fa vendemmia selettiva, rigorosamente a mano e sotto il controllo dell’agronomo Luca Vitaletti che segue il percorso di sviluppo sostenibile dell’azienda. La micro vinificazione si è arricchita negli ultimi tempi della scelta illuminata dell’enologo Dino Dini ( noto allievo di Giacomo Tachis ), che utilizza alcuni tini troncoconici a partire dalla fermentazione. La scelta è risultata vincente nell’esaltare le caratteristiche aromatiche delle uve che vanno a comporre il Maìa, fresco vincitore del premio Miglior Vermentino d’Italia 2023, in Liguria, dove a Diano Castello si tiene ogni anno la manifestazione più longeva dedicata a questo nobile vitigno, il Premio Vermentino, giunta alla 30° edizione.
Le rese basse garantiscono più struttura e più concentrazione, e qui lo sanno bene, seppur sia già il territorio a garantire la qualità del vermentino prodotto a Siddùra, le uve del Maìa, per esempio, selezionate e raccolte a mano, fanno breve macerazione pre-fermentativa a freddo, e completano il ciclo fermentativo ed il successivo affinamento a contatto con il rovere del tini da 30 e 40 ettolitri, capaci di far maturare al meglio il suo caratteristico bouquet, destinandogli lunga vita in bottiglia
La magìa del percorso si ritrova nel grande stazzu di famiglia, recuperato sapientemente e divenuto il cuore pulsante delle visite a Siddùra. Lo “Stazzo” e’ l’antica abitazione delle genti galluresi, che vivevano in queste case realizzate con la pietra ed i materiali locali, perfettamente integrati nel paesaggio. Ogni proprietario, aggiungeva delle stanze all’originario fabbricato, man mano che il nucleo familiare aumentava. Quando Siddùra ha acquistato la tenuta, c’era la casa dei precedenti proprietari, e la scelta oculata è stata mantenere l’impronta territoriale originaria. Anche l’antico forno è stato lasciato al suo posto.
Un polmone verde circonda lo stazzu che domina la fresca vallata. All’interno , il pavimento in vetro lascia intravedere i vecchi macchinari della cantina originaria, il vecchio torchio e le grandi botti. “Sa mesa sarda”, il grande tavolo in legno, fa da scenografia naturale alle degustazioni.
Il salotto di Siddùra custodisce etichette pregiate, ma anche altre forme d’arte, che impreziosiscono la visita, nell’ottica di quel binomio tra innovazione e tradizione, che è la filosofia della cantina.
La Degustazione
Lo stretto legame della cantina con il territorio è sottolineato anche dalla grande attenzione posta nella scelta dei nomi dei vini, che traggono ispirazione dall’antico.
-SPERA
Assaggiamo questo millesimo 2022 best seller, realizzato in esclusiva per l’horeca. L’esuberanza di questo “fascio di luce” ( in gallurese Spera ) si sprigiona al calice, il cui assaggio esalta la semplicità nella realizzazione e nella beva. L’ultima annata di vermentino di Gallura che ti aspetti, dove la complessità ce l’ha tutta l’uva, allevata a bassa quota vicino al mare. La tenuta di riferimento è esposta agli influssi marini, priva di montagne in c.da Bassacutena. Lì i terreni sono più umidi e ricchi di sostanze organiche. La resa è contenuta, di 80/85 q.li per ettaro, quando il tetto della Docg è di 100 q.li per ha. Non troppo strutturato, naso fruttato e marino, giovane. Lo immaginiamo per un ricco aperitivo, antipasti di mare ma anche primi piatti, forte dei suoi 14° alcolici. L’ingresso in bocca è ricco, vivace, minerale , fruttato specie di pesca bianca e di bella sapidità, con un classico finale di mandorla amara, caratteristica del vermentino. La buona acidità lo rende nel complesso bilanciato, delicato ma intrigante al contempo.
-MAìA
Ormai lo sappiamo, il suo nome vuol dire magìa, è il primo vino prodotto a Siddùra, la chiave che ti apre a questi luoghi, evocativo di ciò che può percepirsi nell’aria, la prima volta che si giunge fin qui. Vino iconico della cantina, in fondo la declinazione più rappresentativa del vermentino che Siddùra sa conferire a questo vitigno così versatile.
Chi degustasse le vecchie annate, deve sapere che fino a qualche anno fa Maìa faceva un passaggio veloce in barrique esauste, che ne esaltavano soprattutto i sentori di frutta secca tostata, e le note quasi burrose. Quello che oggi tra 80 cantine e più di 120 Vermentini d’Italia, è stato giudicato il migliore al Premio Vermentino, è un vino d’eccellenza, grazie a Dino Dini (allievo di Giacomo Tachis) toscano, ormai autoctono sardo, maritato com’e’ con Claudia. Dini lo ha ulteriormente valorizzato, convinto che, sulle basi del particolare terroir, toccando il meno possibile il vino in cantina, perché il grosso del lavoro si fa in vigna, si possono raggiungere ottimi risultati. Maìa proviene infatti dal cuore della tenuta di Siddura, da terreni ciottolati, a disfacimento granitico. Poveri di sostanza organica e di poca resa, 60/65 q.li per ha. Frutto di vendemmia a mano, criomacerato per due giorni a bassa temperatura, per estrarre al meglio i precursori aromatici dalle bucce, senza innescare la fermentazione, La vera innovazione dal 2020 sono i tini troncoconici, in rovere da 3/4000 lt. che lavorano a temperatura controllata, con i lieviti alimentati dalla microssigenazione delle vasche. Così le uve di vermentino dopo 7/8 mesi, ed un costante batonnàge, regalano un vino secco, senza residuo zuccherino. Al naso intenso e complesso, con sentori di pesca matura e succosa, fiori bianchi, sentori di macchia mediterranea e cenni agrumati. Ottimo equilibrio all’assaggio, fresco e consistente, che trova corrispondenza all’esame olfattivo, che si arricchisce ulteriormente di una avvolgente scia sapida, persistente su un lungo finale di mandorla fresca.
Strutturato e complesso Maìa ha un grande percorso di longevità, ben oltre la capacità evolutiva dichiarata dei 5 anni.
-NUDO
E’ stato il primo vigneto visitato a Siddùra, passeggiando tra i filari di cannonau, la cui resa è di 80/85 q.li per ha. Il cannonau in realtà, contrariamente all’immaginario e’ scarico di antociani e non ha pigmentazione forte. Si presta quindi bene per vinificarlo in questo Rosato che assaggiamo nell’annata 2021, rosati che, com’è noto, sono i vini più difficili da realizzare. Fa un’ora di contatto con le bucce, che gli dona un bel rosa cipria. Da qui l’idea del nome, Nudo perche’ senza la buccia, e perché simile al colore naturale della pelle. Prima della iconica ciliegia del cannonau sardo, al naso ci arriva la macchia mediterranea. In fondo sentori di rosa, pompelmo rosa, ma anche papaya ed ananas. 13 i gradi alcolici non percepiti integralmente, grazie alla sua freschezza. Sapido quasi salato, da crudi di mare, ostriche, ottimo vino di ingresso in una cena di mare. Gradevolissimo alla beva, asciutto, secco e, per non farsi mancare nulla, fresco di Medaglia d’Oro al Grenache du Monde 2023.
-ESTRU
L’ultimo nato di casa Siddùra un Carignano da vigne di 20 anni del Sulcis. A tavola può rappresentare il perfetto passaggio tra i bianchi ed i rossi. Dal tannino estremamente delicato , vinifica in acciaio, con piccolo passaggio in barrique esauste , che non trasferiscono note boisè, ma puliscono il vino dalla carbonica.
Una sosta in suaglass per 20 minuti ne può fare un rosso fresco per l’estate, che si può bere anche stemperato. Vivace già alla vista, al naso è un esplosione di frutto, freschezza, note vegetali, macchia mediterranea, con accenno balsamico e sapido. Giocando appunto sulle temperature, manifesta quella grande versatilità, che ne sta decretando il successo anche nei ristoranti di pesce, da abbinare perchè no, con un cacciucco o un pesce all’eoliana.
-EREMA
Cannonau giovane, da vendemmia 2021, un po’ scarico al colore, ma all’assaggio di corpo e concentrazione estrattiva. Una bevuta piena, di frutta in confettura, more e lamponi su tutte.
Un vino “puro” che fin dall’inizio conferisce belle note precise sul frutto, complesse e balsamiche.
Vinifica in acciaio , con una sosta in barrique di 7°, 8° passaggio. Dino Dini ci tiene al passaggio in legno esausto per pulirla dai residui di Co2. Un tutto pasto versatile da abbinare, dai maloreddus fino a secondi come la zuppa gallurese o il porceddu, grazie alla sua bella acidità che sgrassa. 14,5° pochissimi solfiti, e l’utilizzo di tappi garantiti Diam ( brevetto che utilizza il sughero, bollito e reimpastato con c’era d’api, che si mantiene umido e non cambia di volume) caratterizzano questa etichetta.
-FOLA
Cannonau Riserva 2019, ancora un bambinone insomma, questo “Fòla”, che in sardo significa favola. Fabio ci racconta che fatta assaggiare la prima annata, come da tradizione, anche a qualche vignaiolo del campo, per vedere cosa ne pensasse, la reazione fu… “Chistu vinu è na fola !”. Allevato per un 30% ad alberello basso, difficile da lavorare ma resistente a siccità e venti del nord. Affina in cantina per un anno nelle botti di Carbellotto, rovere francese lavorato da artigiani italiani. Oltre a conferirgli una parte affumicata, il passaggio in legno modella soprattutto il tannino del cannonau, che un pò come quello del sangiovese (o del nerello mascalese), è ruspante, ed ha bisogno di essere addomesticato. Grande capacità evolutiva che regalerà negli anni ulteriori complessità. Speziatura gradevole e di grande equilibrio per questa “giovane” riserva ! Equilibrato già la naso, ben gestita la gradazione alcolica di 14,5°, grazie ad una bella acidità, un bel palato di frutta matura ed una buona sapidità finale che ti invita ad un altro sorso.
-TIROS
Top di gamma della cantina, questa annata 2016 è un blend da uve Sangiovese 40% e 60% Cabernet Sauvignon. A Siddùra nasce nel 2012 questa interpretazione più continentale del territorio isolano. Affinato in botti grandi di barrique in stile piemontese, separate come a bordeaux, il blend viene fatto in fase successiva. L’enologo fa il taglio e dopo un anno affina, perfezionandosi in botti grandi Stottinger. Viene poi mbottigliato ancora senza capsula ed etichetta e riposa in interfalde per un paio d’anni, al buio ed una corretta temperatura, per scongiurare i problemi legati al sughero naturale. Vino complesso strutturato e persistente, con belle note eteree, cui il cabernet sauvignon dona note verdi erbacee. Notiamo in degustazione un rimando ai supertuscan. Fabio, sorpreso, ci racconta a proposito di un episodio accaduto nella rassegna dedicata ai supertuscan a Zurigo, dove nel 2018, agli assaggi alla cieca con intruso, il Tiros (che era alla sua seconda annata prodotta ) si piazzò al secondo posto.Un vino dall’affinamento minimo di 10 anni. Masticabile, non ti annoia mai, vellutato e profondo, sorretto da buona feschezza. Sentori di piccoli frutti rossi sotto spirito, rose rosse, caffè, cioccolato. Lo immaginiamo non solo da meditazione, ma con un buon salame, magari di Tempio, da affettare davanti al caminetto !
–NUALI
Il Moscato di Sardegna “Nùali” annata 2021, è una specialità proveniente dalla zona di allevamento tradizionale di Sorso e Sennori. 12 gradi per questa vendemmia tardiva di Moscato, coltivato a piede franco sulla sabbia, dove la phillossera non attecchisce, l’uva viene lasciata appassire sulla pianta. Un trionfo di profumi e sentori, naso esplosivo che preannuncia una bella acidità, sbergia succosa, fresche note agrumate di mandarino, ed ancora miele e litchi. Di una freschezza naturale e bell’equilibro tra le morbidezze e la freschezza sapida. Mai stucchevole, regala un bel palato avvolgente, rinfrescato appunto da note acide. Godurioso all’assaggio con i pecorini del territorio !
La Sardegna può contare su 42 vitigni autoctoni censiti, ancora oggi produttivi, una varietà pedoclimatica invidiabile, che rende luoghi come Siddùra al contempo custodi di questa materia viva ed ambasciatori di un innovazione volta al rispetto dell’ecosistema di un territorio ancora vergine.