Apertura in grande stile per “Etna Days” attesissimo evento annuale sulla denominazione Etna Doc, al quale partecipa anche Bertrand Gauvrit, direttore dell’Association des Climats du vignoble de Bourgogne.
Un vigneto di 1500 ettari racchiusi in 20 comuni e 133 contrade per una produzione annua di 6 milioni di bottiglie, di cui il 60% esportata, è l’istantanea dell’Etna Doc, la prima denominazione ad essere istituita in Sicilia nel 1968 e tra le pioniere in Italia. Oggi l’omonimo consorzio di tutela riunisce 220 aziende e rappresenta il 90% del potenziale produttivo complessivo.
“Il settore vive un momento difficile perché si è interrotta la trasmissione generazionale di cosa significhi consumare vino. Le nuove generazioni non sono state educate a farlo e oggi i giovani – attratti dalla mixology – si allontanano dal vino ma assumono più alcol rispetto alla mia generazione. Paradossalmente, nella delicatissima questione alcol e salute ci va di mezzo il vino e non le altre bevande”.
Lo ha ricordato, oggi agli Etna Days il presidente dell’Organizzazione internazionale della vigna e del vino (Oiv) Luigi Moio.
“A mio avviso – ha proseguito Moio – anche sul tema vino e salute c’è una grande responsabilità nella comunicazione, troppo spesso confusionaria e contraddittoria. Non possiamo dire che il vino fa bene perché c’è l’alcol, ma ci sono altri argomenti che distinguono il nostro mondo e che accomuna il prodotto con i territori e la loro storia. Serve affermare questi valori identitari per non confondere il vino con le altre bevande alcoliche. Il vino – ha concluso il presidente Oiv – non è un liquido, è un vettore culturale. Bere un calice di Etna è un atto culturale ed è indubbio che la forza della sua denominazione è data dall’identità costruita attorno al Vulcano”.
I report dell’Osservatorio di Unione italiana vini (Uiv) su base SipSource ci dicono che i vini Etna Doc negli Stati Uniti mantengono standard elevati e guadagnano quote di mercato. Secondo le elaborazioni sulla piattaforma americana, che misura le vendite – e gli effettivi consumi nel breve termine – dei prodotti presenti nei 3/4 degli esercizi commerciali statunitensi, i vini etnei chiudono il periodo con un sostanziale pareggio (-0,2%) a fronte di un contestuale calo tendenziale complessivo di vendite del settore pari all’8,8%, con i vini made in Italy a -6,4%.
Secondo Francesco Cambria, presidente del Consorzio Etna Doc che organizza gli Etna Days “Le premesse per un 2024 difficile c’erano tutte: una vendemmia a -42,5% con conseguente calo nel semestre del prodotto imbottigliato (-5%); un rallentamento globale dei consumi e in particolare negli Stati Uniti, nostro principale mercato di sbocco. Invece nel primo semestre la denominazione ha tenuto e si è consolidata. Merito della qualità raggiunta dai nostri produttori ma anche di un corretto posizionamento di mercato negli Usa, in particolare nei canali del fuori casa che continuano a crescere”.
Proprio il prezzo, dato l’alto posizionamento percepito, costituisce il tratto distintivo dei vini del vulcano negli Usa. “Non è un caso – ha detto il responsabile dell’Osservatorio Uiv, Carlo Flamini – che mentre i vini italiani vedono un forte sbilanciamento dei consumi sulla parte retail (Grande distribuzione, liquor store), con il 77% di quota sul totale, i vini etnei trovano come primo canale di consumo il cosiddetto “fuori casa” (on-premise, ovvero ristoranti, bar, alberghi), con una quota sul totale del 62%, di 10 punti superiore alla Doc Sicilia, anch’essa consumata prevalentemente nell’on-premise, e quasi tripla rispetto all’offerta tricolore”. Il canale più ambito, quello dell’hotellerie e della ristorazione, ha trainato i consumi in questo primo semestre cumulando aumenti del 2,6% a fronte di riduzioni sia per i vini italiani (-4.5%), sia per la generalità del mercato (-9%). Migliore, pur nella negatività, anche il dato dell’off-premise, con l’Etna Doc che vede riduzioni del 4,5% contro il -7% dei vini italiani e il -9% del totale mercato.
“Il vino qui è un calmieratore sociale sempre più decisivo – ha detto il direttore del Consorzio Etna Doc, Maurizio Lunetta – I giovani hanno ripreso a coltivare gli appezzamenti di vigna dei propri nonni, in una sorta di salto generazionale che permette di garantire lavoro a se stessi e a una manodopera molto numerosa. Complici i vigneti montani coltivati ad alberello, il totale del vigneto richiede infatti un monte annuale di oltre 200 mila giornate lavoro, con circa 2.500 persone coinvolte direttamente nella produzione. Siamo orgogliosi – ha concluso Lunetta – di contribuire nel nostro piccolo a frenare l’abbandono dell’Isola da parte delle nuove generazioni”.