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“I due Vulcani” la preziosa viticultura d’Italia

“O’ Nasone”, come è chiamato il vulcano dai napoletani, e la maestosa “Muntagna”, in Sicilia appellata al femminile. Territori vulcanici preziosi soprattutto per il microclima e la ricchezza di minerali.

“I due Vulcani” una masterclass che ha regalato un viaggio sensoriale, non usuale e cadenzato da 12 vini etnei e vesuviani, accompagnati da eccellenze gastronomiche del Vesuvio. Ideali anfitrioni Maria Grazia Barbagallo vice presidente AIS Sicilia, Ernesto Lamatta delegato AIS Vesuvio, e Claudio Di Maria miglior sommelier Sicilia in carica. Un evento in overbooking, in collaborazione tra Ais Catania e Jonico-Etnea, di grande successo per l’interesse che ha suscitato nei winelover, non solo AIS , che non hanno voluto mancare all’evento.

E’ noto il successo internazionale dei vini dei vulcani, con quelli italiani in particolare che si stanno affermando per le loro peculiarità. Una viticultura artigianale, storicizzata, che richiede ancora oggi sui vulcani eroiche opere di terrazzamento. Anche le terre del Vesuvio sabbiose e permeabili, risultano preziose per la viticultura. Somma-Vesuvio, ovvero un sistema a coni concentrici che forma ormai un arco, si apre scenografico fino al mare.

O’ Nasone”, come è appellato il vulcano dai napoletani, perchè i resti del Somma lo mostrano come un gigante disteso che sullo sfondo del Golfo di Napoli mostra il suo grande naso. Fa da contraltare la maestosa “Muntagna” in Sicilia appellata al femminile. Ma il terreno vulcanico, sia caratterizzato da ceneri molto fini piuttosto che da grossi lapilli, è prezioso soprattutto per la ricchezza di minerali. Escursioni termiche e influenze marine, donano ai vini acidità equilibrata e soprattutto una apprezzatissima mineralità. Entrambi i vulcani mostrano la grande forza della natura che sa essere distruttiva e fertile madre. Considerato attivo dai vulcanologi, anche il Vesuvio o il Somma-Vesuvio, come dovrebbe dirsi. Già perché Ernesto ci ricorda che fu il Somma il primo vulcano a crearsi  a seguito di eruzioni 400mila anni fa.

Dalle profondità marine ai Campi Flegrei sono 24 i vulcani attivi, e ce lo ricordano in questi giorni i movimenti tellurici. Il suo territorio, è variegato, aperto a nord est dall’arco del Somma, che fu interessato da esplosioni piroclastiche e ceneri. Il lato sud invece è caratterizzato da più giovani colate. L’ultima eruzione devastante fu quella del 1631, ma fino al secolo scorso nel 1944, il Vesuvio si è manifestato con eruzioni, la più grave risalente al 1906. Il lapillo che troviamo generalmente, forma uno scheletro importante, che a volte si alterna con rocce magmatiche più giovani, diversificando le caratteristiche delle uve prodotte.

A Trecase per esempio, le radici hanno avuto la possibilità di scendere nel profondo trovando il tufo originario. La presenza di ossigeno nel substrato, regala salubrità alle piante, con microflora e fauna che in profondità rendono più sana la vite, mentre in cima gode di quella brezza importante, capace di sviluppare acidità e profumi dell’uva. Queste caratteristiche rendono i vini del vulcano speciali, specie in quei territori che vivono di vento ed influenza del mare.  Si potrebbe semplificare dicendo che dove finisce la viticultura del Vesuvio (dai 100 ai 650 mt.) inizia quella dell’Etna, circostanza che rende già di per sé diverse le espressioni vinicole, grazie ad altitudini che ne fanno spesso veri vini di montagna.

Ma ciò che conta è che oggi nel mondo, se si dice Carricante, si sa che si parla dell’Etna, così come Piedirosso è sinonimo  di Vesuvio, grazie a vigne storicizzate, spesso prefillossera,  mantenute nella loro originalità e artigianalità, con un know how diverso da altri territori ed uno story telling di grande importanza. Ma negli ultimi anni sul Vesuvio c’è la rivincita del Caprettone che, per troppo tempo confuso con la Coda di Volpe, caratterizza la tipicità dei bianchi vesuviani, oggi anche da disciplinare.

La base produttiva del Vesuvio e di appena 400 ettari, con tre paesi, Trecase, Bosco Trecase e Terzigno, più rappresentativi ed esposti a sud. Molto sviluppata la viticultura anche nella zona di Sant’Anastasia e Somma Vesuviana, che rappresenta la parte alta del Somma, con forti pendenze ed esposizione ai venti benefici intorno ai 650 mt.

Pompei non rientra nella Doc Vesuvio, ma ha la sua Doc in onore alla nobile storia. Un’altra curiosità ci regala Ernesto, l’uva Catalanesca tanto amata dai napoletani, che la consumavano tradizionalmente a Natale, da Igt a breve passerà a Doc.

La conferma di una tipicità che caratterizza ed accomuna i due vulcani, è che i loro vini in genere non nascono per essere degustati ad uno o due anni dalla vendemmia, ma per chi sa attendere, col tempo sono capaci di arricchirsi, regalando esperienze sensoriali ed abbinamenti gastronomici indimenticabili.

Magico per i vini vesuviani è il canale ventoso che si dipana dai Monti Lattari fino a Terzigno. Il vento caldo si infrange con i venti freddi che vengono da nord, creando una brezza salutare e continua. Le particolari condizioni pedoclimatiche conferiscono ai vini una forza malica importante, stemperata coll’affinamento in bottiglia nel tempo, e soprattutto una profumazione particolare che, aggiunta ad una cura maniacale in vigna degli avveduti produttori, sta portando alla rinascita del territorio.

L’Etna è un brand internazionale importante, con oltre 6 milioni di bottiglie, ai massimi da quando c’è la Doc. Da 10anni si vive un’espansione, con 1550 ettari vitati, 175 imbottigliatori e 447 produttori di uva che hanno portato la produzione a 6milioni di bottiglie, contro 1,5 mln. di otto anni fa. Il Bianco in ascesa, oggi raggiunge il 48% della produzione.

Conosciamo l’importanza delle differenti espressioni di Contrada che sull’Etna, dalle originarie 133 riconosciute, oggi viaggiano verso le 150. Ma si sta assistendo ad un interessante fermento verso la valorizzazione delle singole parcelle, che in alcune Contrade si sviluppano con suoli diversi, per texture, colori e composizione, da scheletrici a sabbiosi apprezzabili, ed a parità di vinificazione, regalano pregiati prodotti di differente identità. Capire di più dei versanti all’interno di ambienti pedoclimatici diversi è l’obiettivo che si è dato anche il Vesuvio, che sta anche crescendo nell’offerta enoturistica, dove l’Etna con il suo fascino esperienziale è notevolmente apprezzata.

La degustazione

LAVI 2022 Etna Bianco Superiore Cantine Juppa. 90% carricante e saldo di catarratto, vinificato e vendemmiato separatamente. Il blend viene fatto in acciaio. Siamo in c.da Salice con un estensione nord sud ed un dislivello importante. Il collassamento della Valle del Bove, 9000 anni fa creò l’attuale zona est. La più piovosa dell’Etna, con 150 mm di pioggia ad es. nel 2018. Le caratteristiche particolari dell’ambiente, e la vinificazione che Federico Curtaz enologo dell’azienda, ha scelto in solo acciaio, danno pienezza al naso e opulenza, per un bianco di Milo meno verticale di quanto ci si aspetti. Non ha la taglienza tipica dell’Etna superiore, con naso di frutta gialla, erbaceo soffuso, e una chiara nota minerale. Gusto corrispondente e una bella scia sapida, inglobano il palato. Bella freschezza ed espressione giovanile, unite ad un carattere deciso e pieno, ne fanno un vino moderno.

Dall’azienda Sorrentino, l’unica che a saldo del Caprettone, mette dentro un 10% di Greco, degustiamo il Vigna Lapillo 2018 Vesuvio Lacryma Christi Bianco Superiore Doc. Areale sud a Boscotrecase, dove si fa biologico da sempre. Un bel bianco superiore che esce almeno dopo 2 anni dalla vendemmia. Fermenta e matura in acciaio e riposa 8 mesi sur lies. Al naso fiori, frutta e salvia. Un naso soprattutto iodato quasi di salsedine, con una bella forza di penetrazione. La buona freschezza disegna un bel tracciato sensoriale. Un vino che maturando promette un equilibrio che gioca tra acidità e sapidità, dando una pienezza gustativa corrispondente.

MILICE Etna Bianco 2018 di Cantine di Nessuno, selezione di carricante in purezza, presentato da Seby Costanzo patron della cantina e vice presidente del Consorzio Etna Doc. Il monte Ilice è il luogo che lo ha fatto innamorare di questo mondo e per il quale l’architetto Costanzo ha iniziato a fare vino. Un conetto vulcanico spento che partendo da 700 metri giunge a 910, con pendenze che superano i 65°  (quindi il 130 per cento di pendenza!). Il vigneto sul fianco esposto a sud est che guarda il mare è davvero eroico. D’estate una brezza di grecale soffia fino al pomeriggio, in un luogo baciato dal sole, ma con un’escursione termica che supera i 10 gradi, ed al mattino dona una rugiada salutare. Un naso importante, da annata fredda, che regala sentori di miele e zagara. Al gusto pieno e con un lungo finale sapido.

Pompei Bianco 2017 Pompeiano Igt di Bosco de’ Medici. Da una famiglia di produttori che viene dal mondo alberghiero e da grande attenzione al lato agronomico, e da una decina d’anni valorizza il caprettone e il piedirosso, seguita dall’enologo Vincenzo Mercurio. Un ritrovamento eccezionale di anfore nel territorio, ha ispirato l’azienda che fa compiere al vino per il 30% la maturazione in anfora, e il resto in acciaio. Un bel giallo dorato che identifica il passaggio in anfora, e la macerazione gli regala un naso di forte penetrazione. The verde, miele ed addirittura ricordi di tabacco dolce. In bocca si caratterizza per l’ingresso esile, ma la verticalità iniziale, diventa quasi grassa nella sua piena espressione.  

Lacrimabianco 2017 Vesuvio Lacryma Christi Bianco Superiore Doc. Cantine Olivella, di Ciro Giordano che è anche il presidente del Consorzio ha la vigna più alta del suolo del Vesuvio, con vendemmia quindi più ritardata. Caratteristica la piccola percentuale di Catalanesca, valorizzata dalla cantina. Uva dalla buccia molto spessa, che tradizionalmente i napoletani consumavano a Natale e diventata vinificabile. Da sentori vegetali e di salvia, con profumi ancora più accentuati. Il Caprettone qui all’80% dona un alto residuo zuccherino e una buona gradazione alcolica. Una tensione al naso, che anticipa un ingresso in bocca di bella freschezza, buon trasporto e corrispondenza al palato, persistente e sapido.

Tenuta San Michele Etna Bianco 2016 di Murgo. Contrada appena approvata, pur essendo storica dell’Etna fin dal 1860. Murgo è infatti una delle prime tre aziende che hanno fatto conoscere l’Etna vinicola nel mondo il secolo scorso, precisa Claudio Di Maria. Carricante 60% e 30% di catarratto, con un saldo di altre varietà presenti in vigna. Siamo a 500 mt. di altitudine, su una vigna in terrazza impiantata nel 1959. L’annata 2016 è forse la più espressiva dell’Etna, eppure il vino appare ancora giovane al naso, aprendosi con discrezione. Toni erbacei, speziati di pepe bianco, timo e salvia, preludono ad uno sviluppo nel tempo delle caratteristiche note idrocarburiche che ne impreziosiranno il bouquet.     

Vigna del Vulcano 2006 Vesuvio Lacryma Christi Bianco Superiore Doc. Villa Dora èun’azienda che può essere considerata un outsider. Ha sposato in pieno la tradizionale pergola e quest’anno ha presentato l’annata 2002, un’espressione opulenta del proprio vino che ha riscosso grande successo. Solo acciaio e riposo sur lies per 12 mesi per la 2006 che degustiamo. Ci regala frutta matura e fiori, in una concezione inedita ed emozionante, questo “maggiorenne” che sorprende perché fresco e complesso. Caprettone 80% e falanghina 20%, danno un misurato equilibrio al naso, spettacolare per ampiezza. Al gusto delicato e possente al contempo. Siamo in corrispondenza dei Monti Lattari, e il territorio si giova di uno scambio di temperatura con il flusso del vento caldo che asciuga e concede pochi trattamenti. 

Da Benanti il Contrada Cavaliere Etna Rosso Doc 2020. La prima azienda etnea che ha vinificato su tutti i versanti del vulcano. Sonia Cassaniti parla del progetto delle Contrade, che nasce nel 2016. Questa del sud ovest è una delle zone emergenti e più stimolanti e promettenti dell’Etna. Siamo a S.Maria di Licodia a 900 mt. slm. Il carattere del vino, è frutto di questa contraddizione  tra forti escursioni termiche, della zona più secca del vulcano, con microclima più caldo e allo stesso tempo influenzato dall’altitudine. Nerello mascalese in purezza che regala frutta in evoluzione, note di pietra focaia e una piccola nota erbacea, Al gusto tannino pieno, ritmato, teso ma non aggressivo. Nerbo acido e profondità di gusto, frutto del binomio tra altitudine e clima secco. Linearità ed equilibrio promettono una bella vita all’etichetta.

Di Pietradolce il Contrada Rampante Etna Rosso Doc 2019. Angelo Silvestro ci ricorda che il versante nord è più caldo rispetto al versante est, giovandosi del riparo concesso dai Nebrodi, che fungono da schermo ai freddi venti del nord. Condizioni complessivamente adatte ai rossi. La Cantina valorizza e porta al calice le differenze tra le microparcelle. Barbagalli è forse la versione più pura di Etna, mentre il loro vigneto Archineri è più fresco e verticale. Il Rampante in degustazione invece risulta più muscolare e croccante, da vigna esposta e più calda. Nerello mascalese in purezza che fermenta in acciaio e matura 14 mesi in botti di rovere a grana fina e tostatura leggera. Tannino maturo e alcol bene integrati per un ingresso importante sostenuto da un fil rouge di acidità , di bella struttura e profondità.

Palmento Costanzo Etna Rosso Doc Contrada Santo Spirito 2019. Valeria Agosta Costanzo e Serena Costanzo, ci parlano della contrada. Siamo sul versante nord su una vigna vecchia , attraversata da una colata del 1879. 2015 la prima annata di questo vino elegante.La parcellizzazione della stessa Contrada nasce dal desiderio di approfondire la conoscenza all’interno della stessa contrada delle riscontrate diversità di suolo, da terrazza a terrazza. Dai 650 agli 800 metri infatti, si sviluppano diversi suoli, texture, colori e composizione, differenti da scheletrici a sabbiosi. 12 gli ettari vitati tutti terrazzati. La particella 468 si trova a 600mt, la 466 è la particella centrale, mentre la 464 si trova accanto l’antica colata, ed è più scheletrica. Raccogliere e vinificare le uve nello stesso modo per esaltare le differenze territoriali al calice è l’obiettivo di un progetto nato nel 2016. In vigna alberelli e pali di castagno. In cantina la fermentazione alcolica avviene in tini tronco conici e matura 24 mesi negli Ovum di rovere. Vino dal tannino avvolgente e un finale di grande pulizia ed eleganza.

Trocla 2017 Vesuvio Lacryma Christi rosso riserva Doc di Montesommavesuvio.  Da uve di piedirosso 80% con un saldo di Aglianico e Sciascinoso. Un blend in vigna, che fermenta in acciaio e affina in botte per 24 mesi. Somma è territorio di grandi pendenze e microvinificazione. Espressione della terra del Vesuvio Doc e rispetto ad altri con una componente più “marina”. Al calice sentori di viola a quelli ferroso-ematici tipici del piedirosso. Coeso al gusto, teso speziato e morbido, con un finale che accarezza il palato.

Casa Setaro, Don Vincenzo Vesuvio Lacryma Christi Rosso Riserva 2015. Siamo a Trecase, due grossi appezzamenti con una piccola porzione di piante a piede franco, con blend in vinificazione, e percentuale intorno all’80% di piedirosso e 20% di aglianico. Profumi di frutti e fiori rossi , ma anche spezie ed incenso, su note fresche persistenti. Nonostante un importante gradazione alcolica, si manifesta al palato avvolgente e leggiadro.

Ernesto Lamatta ci regala la gradita degustazione di alcune tipicità, una sorta di preview di VulcanicaAis che si terrà il 7 giugno a Villa Signorini di Ercolano. Apprezzatissimi I mezzi paccheri dell’azienda Le Gemme del Vesuvio, pasta artigianale raffreddata ad aria calda fino a 72 ore, con le pacchetelle di pomodorini del piennolo, davvero fragranti e profumati, preparati dalle cucine di Piazza Scammacca che ospita l’evento. Questo pomodorino dalla buccia doppia ma dai profumi unici, viene impiantato da marzo fino a fine maggio, ed innaffiato solo nella prima settimana per stimolare la crescita delle radici.

Si chiude in dolcezza col panettone golosissimo di Caffè Masulli, che lievita naturalmente 72 ore, da un panetto di lievito madre che ha 28anni. All’interno la preziosa “Pellecchiella” albicocca appassita naturalmente e candita. Il tutto accompagnato  dal liquore artigianale al pomodorino del piennolo, basilico e peperoncino piccante di Alma de Lux