Onav Catania ha presentato due realtà vinicole così lontane come Val D’Aosta ed Etna, ma entrambe da preservare e valorizzare, con le loro similitudini e differenze
Immaginiamo terrazzamenti così impervi che i viticultori aggirando il bosco per passare da un vigneto all’altro, con sguardo dritto ed appoggi sicuri, facendo invidia ai camosci, portano le ceste colme di uva a spalla, nelle difficoltà ed allo stesso tempo meraviglia, che ti si apre intorno.
Stiamo parlando della viticultura eroica della Val d’Aosta, dove il mezzo di conferimento normale è l’Ape ! Piccoli orti vitati costituiscono il patrimonio di questa terra ai confini del nord Italia, ed a prima vista così diversa dalla Sicilia.
L’occasione di approfondirne la conoscenza ci è data da Onav Catania, con in testa Danilo Trapanotto consigliere nazionale (oltre che delegato provinciale), ancora una volta riuscito a coinvolgere in un evento appassionante, realtà territoriali così lontane, ma legate innanzi tutto da una grande tradizione legata al vino, quali la Val d’Aosta ed ovviamente l’Etna.
Un Convegno ed una masterclass tenutesi all’interno del Salotto dell’Etna, organizzato dal Comune
di Trecastagni, hanno visto la partecipazione di autorità, i protagonisti di storie del vino e soprattutto numerosissimi ospiti. Ospite per la Val D’Aosta l’enologo di riferimento regionale, Massimo Bellocchia, che ha presentato una batteria di vini della Cave des Onze Communes, mentre il parterre Etneo era impreziosito dalla presenza del Sindaco di Trecastagni dott. GiuseppeMessina e dell’assessore Edmondo Pappalardo, che insieme a Danilo Trapanotto hanno accolto rappresentativi produttori del vulcano, quali Graziano Nicosia, Ciro Biondi e Seby Costanzo, nonché il direttore del Consorzio Etna Doc Maurizio Lunetta.
Due terre separate da quasi 2000 km eppure caratterizzate da condizioni di allevamento e latitudini estreme, hanno spesso in comune una forma di allevamento come l’alberello, capace di riparare il frutto dalla forte insolazione, come dai forti venti, e nei climi rigidi in grado di accogliere i raggi solari da quattro esposizioni.
Parallela all’arco alpino la Val d’Aosta , si apre in piccole valli laterali , protetta com’è, grazie a vette impervie, dai venti nordici e godendo di un bel microclima per la viticultura.
Con la Sicilia ha in comune un’antica cultura enoica, ma il territorio è notevolmente differente per condizioni pedoclimatiche. Entrambe producono spesso vini da viticultura eroica, anche se in Valle -confessa Massimo Bellocchia- c’e’ sicuramente viticultura di quota, se vogliamo estrema, ma non sempre eroica, come intorno al Castello di Sarre dove si riesce a meccanizzare e le ore lavorative si dimezzano rispetto a Torrette e Donnas. Così, mentre in Val D’Aosta ogni anno il bosco si impadronisce di ettari di vigna, sull’Etna si fanno da secoli i conti con i capricci del vulcano.
Ambedue hanno puntato sui vitigni autoctoni, e quelli storicamente allevati nell’areale. In Val D’Aosta già nel 1970 venivano omologati cloni di Petit rouge, di Nebbiolo Picoutener e selezionati biotipi di Moscato bianco e Vien de Nus , dando vita a vini ormai noti come il Donnas e l’Enfer d’Arvier. Sull’Etna dopo i fasti di alcune cantine di fine ‘800 -una fra tutte Castello di Solicchiata del barone Felice Spitaleri- ed i premi internazionali ottenuti nei primi del ‘900 anche da cantine di Trecastagni come Biondi e Lanzafame, si è passati ad un’epoca dove i vini etnei erano soprattutto apprezzati per il taglio, che arricchiva le produzioni di Francia e Piemonte.
Massimo Bellocchia ci ricorda come la viticultura Valdostana si sia strutturata dal 1985 con un’unica Doc, all’interno della quale le 7 sottozone di Enfer d’Arvier , Nus, Torrette, Donnas, Chambave, Arnad-Montjovet, Blanc de Morgex et de La Salle ( da Priè Blanc ) riuniscono il messaggio in un unico brand. Sull’Etna rinata la produzione di qualità negli ultimi decenni ed affermatasi recentemente come un brand internazionale, eccellono le vinificazioni di Nerello Mascalese e Cappuccio a bacca rossa, e di Carricante a bacca bianca, capaci di esprimere etichette Doc pluripremiate di rossi, rosati, bianchi e spumanti.
Danilo Trapanotto, ha posto l’accento anche sull’aspetto consortile e sui costi di produzione, immaginando che le difficoltà Aostane possano essere anche maggiori. Massimo Bellocchia confermando che il Consorzio si è in effetti costituito da poco, ha sottolineato che la produzione vinicola in realtà è fondata da 220 viticultori con appena 70 ettari vitati, ed una media di meno di 4000 metri di vigneto pro capite.
In Val D’Aosta la regina dell’agricoltura è infatti la zootecnia, con le pregiate produzioni di carni e soprattutto formaggi anche d’alpeggio. Ma in fondo il problema commerciale per le cantine è relativo perché la vendita è concentrata sul turismo, capace di assorbire quasi l’80% della produzione. Si parla infatti di 2 milioni e mezzo di bottiglie prodotte, a fronte di due milioni di turisti l’anno !
Fortunatamente sull’Etna si sta superando l’atavica sfiducia nel fare rete -sottolinea Maurizio Lunetta- ed il Consorzio raccoglie 494 viticultori, 170 aziende che hanno una propria bottiglia, delle quali 72 vinificano in proprio e conto terzi. Le bottiglie prodotte sono state 5.800.000 nel 2022 con una crescita di circa il 25%. La qualità del lavoro che si sta facendo è ben rappresentata dalla partnership con il consorzio Alto Adige che ha portato ad un progetto triennale di promozione nei mercati esteri, e nella manifestazione degli “Etna Days” che ritornano dal 13 al 15 settembre, ospiti ben 40 giornalisti internazionali di settore.
La degustazione si è piacevolmente svolta nei saloni della Fondazione Trecastagni, tra aneddoti storie e testimonianze che hanno rapito l’attenzione della sala gremita.
Personalmente abbiamo apprezzato la possibilità di amabile confronto, nell’assaggio delle varie etichette, fianco a fianco con i produttori, che scherzosamente hanno intavolato una partita amichevole tra Val D’Aosta ed Etna.
Si comincia con i vini della cantina Cave des Onze Communes di Aymavilles, che raggruppa 175 produttori e 65 ettari disseminati appunto in 11 comuni tra i 550 e gli 800 metri di altitudine. I vini bianchi da autoctoni sono due : la Petite Arvine che si può bere in Svizzera nel Vallese o in Val D’Aosta, di cui abbiamo assaggiato due versioni, ed il Blanc de Morgex de la Salle che non è presente in degustazione. Quest’ultimo nasce dal Priè Blanc, un vitigno che in barba al cambiamento climatico, germoglia a fine d’aprile e rapidissimo a metà settembre è già maturo. Franco di piede, autoselezionatosi in loco, è allevato dai 950 ai 1300 mt. dove il detrito morenico, sotto il sottile strato di terreno, fa sì che la fillossera incontrando le scaglie di roccia non riesca a svilupparsi.
Interessanti le declinazioni proposte da Cave des Onze Communes di internazionali come il Muller Thurgau ed il Gewurtztraminer, entrambe del 2022, fresche , profumate ed avvolgenti, con gli aromi tipici dei vitigni. Abbiamo apprezzato la referenza Valle D’Aosta Bianco 2022 Viti Alte , un blend gastronomicoda Moscato bianco, Traminer, Pinot Gris, Pinot Bianco, in percentuali variabili a seconda delle annate, che regala particolari sensazioni, che spaziano dal gelsomino alla frutta gialla matura, restando in bocca morbido, minerale, e ricco di sapide sfumature aromatiche.
Ma la curiosità di addetti ai lavori si è focalizzata sull’apprezzamento del Petit Arvine, vinificato in due versioni. Un vino unico, molto fine, già valido nel millesimo 2022 declinato su note di agrumi e frutta esotica. Al palato emerge un gusto avvolgente, tipicamente sapido, quasi salino, di buona persistenza.
Ma è il millesimo 2021 del Petite Arvine che ci ha conquistato. Una parte della produzione enologica viene infatti destinata all’affinamento in botti di granito del Monte Bianco.
Queste vengono poi collocate per un anno all’interno di alcune miniere di magnetite dismesse, all’interno delle quali la temperatura resta costante tra i 5 e i 7 gradi.
Petite Arvine Miniera 2021 , ha un bouquet complesso che ci accompagna tra note floreali di campo a quelle agrumate, passando per la frutta esotica e fino ad eleganti note tioliche. Al palato esprime una bella mineralità supportata da una buona freschezza, con sentori di mela cotogna e miele ed una lunghissima persistenza.
Passando all’assaggio delle referenze etnee, Ciro Biondi con la sua bella storia di famiglia e passione per il vino a Trecastagni, ha proposto a sorpresa il campione di vasca 2022, di una bella verticalità e freschezza che prelude a lunga vita. Il suo Outis 2015 è appunto testimone di come sull’Etna, a differenza della val D’Aosta , i vitigni autoctoni regalano nel tempo le migliori soddisfazioni, riscuotendo grande successo anche nei mercati esteri. Da uve principalmente carricante, con saldo di catarratto e minnella. Segue la regola antica etnea che vorrebbe una minnella ogni 10 carricante. All’assaggio richiama mela e ananas, su sentori minerali, risultando fresco di gelsomino e zagara e ben equilibrato al palato, con note di erba tagliata ed aromatica, chiudendo su una buona mineralità.
Etna Bianco doc 2019 di Barone Beneventano sempre da selezione di catarratto, minnella e carricante, esprime un naso dominato da note floreali e fruttate. A seguire sbuffi minerali e vegetali, che richiamano la macchia mediterranea. Il palato si protrae su note fresche e sapide.
Cantine Nicosia Contrada Monte Gorna 2019. Da uve carricante 90% e 10 di catarratto, vinificato in acciaio. Solo il 30% fa un breve passaggio in tonneau di acacia. Qui le differenze con le referenze della Val D’Aosta emergono tutte. Profondo e complesso, con sentori di fiori gialli, frutta a polpa bianca e agrumi accompagnati da buona mineralità. Morbido ed elegante al gusto che regala sensazioni di frutta secca, quasi burrose e di pietra focaia, in una continua evoluzione di profumi.
Eudes Bianco di Monte 2016. Lunghi e intensi sentori di fiori di pesco, su note agrumate di arancia candita e nuance di pietra focaia e salsedine. Minerale e ancora fresco al palato, con note ossidative bilanciate da buona verticalità e giusta corrispondenza gusto-olfattiva. Sapido il finale.
Cantine di Nessuno Milice Etna Bianco 2018. Una conferma, questa etichetta in purezza da viti ultracentenarie di Carricante, abbarbicate dai 700 ai 900 mt. slm del Monte Ilice. Le straordinarie pendenze del 65% di questo conetto vulcanico rendono bene il concetto di viticultura eroica, comune con molte aree della Val D’Aosta. Qui il sole abbronza le antiche viti un po’ di più, fino a metà del pomeriggio. Regalando profumi intensi e maggiore grado zuccherino. Affina in tonneau di rovere da 550 lt. esauste per 12 mesi ed almeno un altro anno in bottiglia. All’assaggio un tripudio di frutta fresca, note erbacee e vaniglia, finocchietto selvatico, salvia ed ancora mandarino. Fitta la trama gustativa, sapida, succosa ed equilibrata che chiude su una spiccata e persistente mineralità.
La degustazione -amichevolmente comparata- ha appassionato tutti i protagonisti, unanimi nel concludere il giudizio su un salomonico pareggio, tra due eccellenti espressioni territoriali, così lontane, ma in fondo legate da resilienza e passione per la propria terra e la Montagna (non a caso il nome con cui l’Etna è appellata), comunità capaci di dar luogo a grandi espressioni vinicole in condizioni estreme ed in molti casi eroiche, esempi di come sia madre natura, soprattutto, a fare selezione e chi resiste diventa unico, basta non disturbarlo troppo.