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“A tavola con i Florio”: storia e gastronomia siciliana dal 1900 al 1940 raccontata attraverso la ceramica

Un progetto che racconta il cibo e il suo "contenitore” la ceramica, in un rapporto tra funzionalità e significato simbolico degli oggetti della tavola. Un viaggio che parte con i Florio dalla Sicilia per abbracciare il mondo

La ceramica, essenza d’arte e tradizione, ha mostrato un legame profondo con il cibo e con gli usi in cucina fin dai tempi più antichi. Tutto parte dal piatto, simbolo della convivialità e della socialità rappresentata dal condividere un pasto, spazio di umanizzazione, ascolto e scambio.

Conoscono bene questo aspetto i Florio, una tra le famiglie di imprenditori più influenti d’Europa fautrice della Belle Époque siciliana, che ha saputo imprimere nella storia di Palermo moderne realtà commerciali e nuovi stili di vita. Fu Vincenzo a dare impulso, in Palermo, alla pesca del tonno e alla sua preparazione in scatola; si occupò dell’industria dello zolfo, fondò una banca e nel 1840 impiantò il famoso stabilimento del Marsala. Numerose attività a cui si è affiancata quella della ceramica di cui attualmente rimane importante testimonianza grazie al lavoro di collezionisti che nel tempo hanno custodito pezzi unici.

Opere oggi rese protagoniste della mostra “A Tavola con i Florio. Collezioni ceramiche 1900-1940” allestita all’interno del MF Museum & Fashion di Catania curata da Marella Ferrera, stilista siciliana di fama internazionale, insieme agli studiosi Vincenzo Profetto e Antonino Lo Cascio, collezionisti e autori della monografia dedicata alla Ceramica Florio.

Un manifesto di pura bellezza la Manifattura Ceramica Florio,nata a Palermo nella prima fabbrica di ceramiche riconducibile al nome Florio e dei fratelli Varvaro nel 1884, presso Via dei Cantieri. Secondo le fonti nacque per volere di Ignazio senior con lo scopo di rifornire a prezzi convenienti stoviglie alla flotta della Navigazione Generale Italiana, compagnia navale da loro fondata insieme all’armatore genovese Rubattino di Genova nel 1881. Sarà poi la Richard-Ginori (dal 2020 rinominata Ginori 1735), massima espressione dell’eccellenza italiana nell’alta manifattura artistica della porcellana pura, nel 1940 ad acquisire l’ex Manifattura Ceramica Florio.

È il periodo della Belle Époque, della fede nel progresso scientifico e tecnico, delle ville dal gusto liberty a cui si accompagna un maggiore interesse per gli utensili metallici, i mobili, stoffe e ceramiche. Anni in cui l’oggetto non è più semplice strumento pratico ma si evolve in oggetto di decoro in grado di evidenziare una storia, uno status sociale e un rapporto inscindibile con il cibo.

Quest’ultimo aspetto è stato evidenziato magistralmente nel lavoro di ricerca condotto da Marella Ferrera, Profetto e Lo Cascio che si esplicita su di una suggestiva tavola apparecchiata con ceramiche dai diversi stili, dal liberty all’estetismo inglese.

Si comincia con il racconto delle prime stoviglie nate per i servizi di bordo della prima classe all’interno della NGI “Navigazione Generale Italiana – Società riunite Florio e Rubattino”, prodotte in porcellana opaca, eleganti nella forma e nel decoro, utilizzate duranti i grandi pranzi. Per la terza classe le pietanze venivano invece servite in gamelle di metallo. Una linea di produzione la prima, condivisa con la Ginori, caratterizzata da una doppia filettatura blu marina sul bordo dipinta a mano e dallo stemma della compagnia.

Zuppiere, legumiere, senapiere, servizi da caffè, tutti oggetti o meglio contenitori di storie e soprattutto di un’arte, come quella culinaria, che si è evoluta nel tempo in tutte le sue molteplici espressioni. Un cambiamento, come si evince dalle grafiche e dai menu provenienti dalla Compagnia di Navigazione Generale Italiana dei Florio fornite da Alberto e Marina Bisagno, iniziato durante il periodo borbonico tra il Settecento e l’Ottocento con una cucina profondamente influenzata dall’arte gastronomica francese per poi trovare la sua identità negli anni ’60 del Novecento, quando l’Italia uscita dalla miseria del dopoguerra, scopre il piacere di mangiare bene.

MENU 1901 – 1907 – 1911

  Menu della NGI “Navigazione Generale Italiana – Società riunite Florio e Rubattino” 1907 – 1911

ANTIPASTI

In un primo momento ad impreziosire le tavole della prima classe era la raviera con foglie d’acanto in rilievo ai manici. Si tratta di un piatto dalla forma allungata, probabilmente usato in origine per portare ortaggi come i ravanelli poi, a partire dall’Ottocento per l’antipasto nell’accezione con cui viene descritto da Pellegrino Artusi nel suo “La scienza in Cucina e l’arte di mangiar bene” del 1891: l’antipasto comprendeva ostriche, salumi, acciughe, caviale serviti da soli o accompagnati con il burro, cetrioli e olive nere.

CONSOMMÉ

Il pranzo si apriva con il consommé, probabilmente servito all’interno di ampie tazze, simbolo per eccellenza dell’influenza della cucina francese sulla gastronomia italiana. Piatto povero e democratico, sulle tavole di ogni ceto sociale,trova leprime tracce scritte di questo sconfinamento verso l’Italia nel Trattato di cucina, pasticceria moderna, credenza e relativa confettureria, scritto nel 1854 dall’aiutante capo-cuoco e pasticcere di Casa Savoia Giovanni Vialardi, che ribadisce il ruolo primario del potage nei pasti della corte piemontese. Il termine potage indica le minestre in modo generico, grande famiglia a cui appartengono le Minestre Chiare (i Consommé), un brodo di carne bovina o di pollo ristretto e chiarificato attraverso l’aggiunta di albume d’uovo.

Non mancavano le zuppe spesso allungate con l’acqua comprendenti cicoria, finocchio selvatico, erba cipollina, spinaci, bietole, borragine e asparagi. Testimonianza diretta sono le zuppiere e le legumiere con intreccio a canestro in rilievo, pomello a conchiglia appoggiata in verticale su una stella marina.

PRIMI PIATTI

Piatto da portata con filettatura a mano e stemma ovale in blu marina della NGI. Manif. Florio. Coll. A. Lo Cascio

Protagonista indiscusso di un piatto da portata con intreccio a canestro in rilievo, cuore dell’intero pasto, era la pasta al pomodoro e al burro.  In data 1911 non viene specificato il formato della pasta a differenza del menu risalente al 1907 che fa riferimento ai vermicelli (formato di cui si trova traccia già alla fine del Settecento con re Ferdinando IV di Borbone). Un piatto iconico che riflette la profonda trasformazione dovuta all’integrazione culturale ed alimentare del ‘900, accentuata dalla migrazione interna. Un primo che nel dopoguerra incontra un altro ingrediente: il burro. Non mancano chiari riferimenti alla cucina napoletana come gli spaghetti alle vongole.

SECONDI PIATTI E INSALATE

L’entrecôte alla griglia un taglio di carne bovina pregiato ricavato dalla lombata dell’animale, spezzato di pollo con funghi, uova al guscio, pollo alla cacciatora. Non mancava mai come contorno l’insalata realizzata con i prodotti che poteva offrire l’orto. Testimonianze orali fanno riferimento “all’insalata vastasa” così chiamata perché ricca di sapori dettati dalle patate, dal pomodoro, dalle olive e dalle cipolle. Accanto a questa compare l’insalata con formaggi e uova.

DOLCI

Il pasto terminava con dessert di vario genere, compresi i gelati come quello alle prugne. I dolci venivano preparati nei conventi con ricette che si perdono nella notte dei tempi, intrise di mistero e di poesia. Tra questi “Le minni di virgini”, dolcetti composti di pasta frolla e all’interno crema di latte, zuccata, scaglie di cioccolato e cannella; la cassata, la zuccata ricavata da un tipo di zucca particolare a forma di tromba, la “virmiciddara” preparata dalle suore della Badia del Cancelliere di Palermo. Immancabile nei banchetti della nobiltà siciliana il trionfo di gola di più complessa fattura preparato in forma di cono con crema di latte, pistacchi, gelatina di albicocche e frutta candita. A deliziare i palati anche l’iconico biancomangiare nato in versione salata (crema gelatinosa a base di latte, lardo, petto di pollo, mandorle e riso), giunto fino a noi come dolce al cucchiaio a base di mandorle dolci e amare.

Dalla chiara influenza francese il pasto si concludeva con numerose varietà di formaggi e frutta. Probabilmente per i dessert venivano utilizzate coppe e piatti appositi di cui al momento non è stata trovata traccia.

Testimonianze importanti che raccontano l’arrivo nel Regno delle due Sicilie della figura francese del Monsù. I nobili siciliani esigono dal Monsù (“Monzù erano chiamati nei secoli XVIII e XIX i capocuochi delle case aristocratiche in Campania e in Sicilia perché, in epoca di influenza gastronomica francese, niente più di un titolo francesizzante pareva premiare l’eccellenza, anche se essi di solito francesi non erano.” Enciclopedia Gastronomica Italiana)una rivisitazione dei grandi classici, senza rinunciare al sapore e alla tradizione della loro terra, unendo in una pietanza il meglio delle due cucine. Si passa dunque da una cucina incentrata sulla carne a una che scopre gli alimenti freschi, i vegetali, le erbe aromatiche, le salse, le glasse, i legamenti.

Rivoluzione che ha segnato inevitabilmente anche il mondo della ceramica con le prime raffinate illustrazioni. Ecco che contenitore e contenuto iniziano a giocare con gli stessi segni, inventano il proprio esclusivo “design”, combinano l’eleganza della ceramica tradizionale con la bellezza di quella decorativa, rappresentando le tavole più ricche ma anche quelle più modeste.

MOTIVI FLOREALI

Zuppiera con motivi floreali il cui disegno calcografico dipinto a mano richiama, per linee e colore, i motivi vegetali dipinti da E. De Maria Bergler presso Villa Igiea 1904. Coll. A. Lo Cascio. – Piatto motivi vegetali S. Gregorietti in Casa Perrier de Laconnay. Manif. Florio. 1905. Coll. A. Lo Cascio.

Tra i motivi più usati dalla Manifattura Florio figurano infatti quelli floreali, che costituivano la parte decorativa più cospicua della loro produzione come scrivono Profetto e Lo Cascio. Bellissima la zuppiera con motivi floreali il cui disegno calcografico dipinto a mano richiama i motivi vegetali dipinti da E. De Maria Bergler presso Villa Igiea 1904.

Accanto a preparazioni ricche e strutturate nel gusto, il consumo di caffè e cioccolata si affermava sempre più tra l’alta borghesia tanto che, nel primo trentennio del ‘900, fu in voga la moda di scrivere in corsivo sui servizi da tè, da caffè o sulle ciotole da colazione il nome del destinatario o una parola significativa da regalare in segno di amicizia e stima personale “RICORDO”.

STILE LIBERTY

Piatto con motivi floreali liberty calcografici dipinti a mano. Manif. Florio. 1905. Coll. A. Lo Cascio.

Il momento di maggiore sviluppo della fabbrica Florio ricade nei primi anni del ‘900 caratterizzati artisticamente dallo stile liberty e dopo dall’art déco: dai decori floreali e linee sinuose, dinamiche ondulate in composizioni stilizzati come fiori secchi conservati tra le pagine di un libro al nuovo gusto déco con composizioni simmetriche, forme geometriche e floreali dalle linee rigide e nette.

RITRATTI

Piatto con decalcomania raffigurante Selim o La morale del pastore di A. Kauffmann. Manif. Florio. 1910. Coll. A. Lo Cascio.

Una tarda produzione firmata Ceramica Palermo ha avuto invece come repertorio decorativo il tema ritrattistico con visi o mezzi busti femminili e quello narrativo di carattere mitologico o bucolico.

Ecco che le pietanze, in perfetta armonia come opere d’arte su ceramiche minuziosamente decorate, iniziano a colorarsi di tonalità sempre più sgargianti, di profumi inebrianti in grado di deliziare l’olfatto con sentori ammandorlati, di crosta di pane e note vegetali seguiti da sapori decisi. Via quindi allo studio della presentazione contemporanea delle portate su grandi tavolate imbandite dai toni sfavillanti, dove fanno per la prima volta comparsa quei piatti considerati oggi tra i più rappresentativi della cucina siciliana: il succulento agglassato di carne, la caponata ma in agrodolce, il famoso timballo in crosta, l’aspic di pollo e il falsomagro. In merito a quest’ultimo piatto, furono proprio i Monsù a creare per la carne vaccina una farcitura di verdure chiamata in francese farcie de maigre, che poi, nell’interpretazione popolare divenne falsomagro, ovvero un arrotolato di carne che svela al taglio un ripieno ghiotto di uova sode, macinato, mortadella e formaggio. A questi si affiancano il gâteau di patate e la cacciagione cucinata ripiena della propria interiora.

Nel frattempo la cucina delle classi meno abbienti predilige l’utilizzo di carne di maiale, salata e seccata o del tonno sotto sale, prepara l’agghiotta con gli scarti del pesce e non solo, bisognosa di rivisitare piatti nobili con prodotti più poveri ne derivano ricette come la caponata di melanzane e la pasta con le sarde a mare. Grazie alla presenza del finocchietto selvatico il gusto ricorda molto quello della tradizionale pasta con le sarde, solo che le sarde non ci sono. Purezza e semplicità dei sapori che si esplicitava anche in una linea di terraglia economica bianca, priva di colori.

TERRAGLIA BIANCA

Grande zuppiera bianca 1900- 1920

Merito di quella che può essere definita una vera e propria rivoluzione in cucina proviene da un uomo lungimirante come Vincenzo quando, nel 1828 arrivò al comando della ditta, entrò nel commercio dei tessuti e cominciò a pensare alla pesca dei tonni e alla loro conservazione in latta con apertura a chiave. Ecco che nelle tavole dei signori compaiono i primi piatti a base di tonno sott’olio prodotto nella tonnara di Favignana.

Nuovi metodi di conservazione, calici a tulipano dalle forme sinuose pronti ad essere riempiti da quel vino liquoroso porta bandiera della Sicilia nel Mondo: il Marsala. E il tovagliato? Ben poco si conosce in tal senso infatti, al suo posto Marella Ferrera ha voluto utilizzare i pregiati asciugamani con le frange dell’epoca come runner.

I Florio, maestri consapevoli di quella genuinità della materia prima e forma di collaborazione basata su valori e principi condivisi, sono riusciti ad affermarsi in tutto il territorio siciliano e non solo grazie ad un continuo intreccio di arti trasversali fatto di passione artistica, originalità e soprattutto di quella capacità di guardare avanti come pochi.

La mostra sita nella sede del MF Museum & Fashion di Catania, in Piazza Cardinale Pappalardo 27, è aperta al pubblico fino al 20 maggio 2025.